martedì 18 ottobre 2016

Yak, Lama e alpinismo!


 China, Sichuan, Litang



Settembre 2016:  Luca Vallata ed io partiamo per il Sichuan.

Il motivo, che ci ha potato in questa regione remota della Cina, è scalare un massiccio poco esplorato: il massiccio del Genyen, pochissimi sono gli alpinisti che lo hanno visitato. In tutto il massiccio solo 4 montagne sono state già state salite, tutto il resto è unclimbed.

Questa situazione è tipica  in molti massicci del Sichuan e del Tibet; l’enorme quantità di montagne e la poca frequentazione fino a oggi, hanno lasciato ancora enormi opportunità alpinistiche che sono solo da cogliere; solo i massicci più comodi e conosciuti hanno avuto un esplorazione alpinistica. Per ulteriori informazioni consiglio il libro di Nakamura.
 Il gruppo alpinistico in questa spedizione è formato da 7 alpinisti, molto diversi tra loro. Con me c’è Luca, il mio solito compagno di avventure, poi ci sono i britannici James (fautore della logistica), Tom, Rob e l’irlandese Peter; a metà spedizione si unisce anche Heather, una britannica ormai in pianta stabile a Chamonix.
 Il prezzo da pagare per visitare queste montagne è l’accesso complesso, siamo fuori dai circuiti turistici quindi ogni tragitto è da discutere/contrattate con la gente del luogo e anche con il rappresentante del governo cinese.
 Per entrare nel massiccio abbiamo dovuto avere il consenso dei monaci, i quali ci hanno assolutamente proibito di salire la montagna più alta, che è il Genyen 6204m poiché ritenuta sacra. La montagna però è già stata salita un paio di volte in passato, prima da una spedizione giapponese e poi da un spedizione italiana!
Una molla che mi ha fatto decidere a partecipare a questa spedizione è stata la possibilità di assaporare la cultura tibetana, qui ufficialmente è Sichuan, Cina, ma storicamente è Tibet occidentale. Le persone di etnia Han sono poche e la lingua più diffusa è il tibetano!
Già a Litang si sente che siamo distanti dalla occidentalizzazione, qui al massimo si sente la cinesizzazione, la colazione dolce non esiste e quindi facciamo colazione alla cinese, zuppa di nudels piccante alle 8 di mattina, e da qua ci attende ancora una giornata di viaggio per raggiungere le pendici delle montagne.
Abbiamo più volte l’occasione durante la spedizione di trascorrere del tempo con i monaci e di bere insieme a loro il buonissimo Butter tea, una bevanda calda a base di burro di yak, tea e sale, bevanda incredibilmente più buona di quanto possa sembrare.
Nel massiccio del Geyen c’è il monastero Rengo risalente al 1100, uno dei pochissimi ad essere sopravvissuti alla rivoluzione culturale . Oggigiorno i monaci, una comunità di 200 persone vive tutto l’anno seguendo i ritmi della vita monastica lamaista e risiedono nel nuovo monastero in costruzione alle pendici del massiccio.
Al campo base avviene un interessante confronto tra visioni culinarie diverse, Luca ed io impariamo ad gustare il porridge la mattina e i classici mischiotti di verdure, tutti dallo stesso sapore, che accompagneranno la permanenza al campo base. Mentre i britannici imparano che anche una pasta senza mille ingredienti e spezie può essere buona.

La meteo non ci favorisce e gran parte della spedizione la passiamo sotto la pioggia, a tal punto che Peter se ne esce con: “i’m never be so wet and i’m an Irishman”.
Le montagne sono bellissime, ma purtroppo tali condizioni meteo ci scoraggiano dal provare obbiettivi tecnici.
James e Rob riescono a salire sul monte Hutza, e una settimana dopo James e Peter aprono un'altra via sempre sul monte Hutza; Luca e io dopo un tentativo sul monte Hutza lungo la cresta Ovest puntiamo un ad una bellissima montagna, senza nome di 5912m, chiaramente vergine da un punto di vista alpinistico.
Riusciamo a salire e scendere in 3 giorni, arrampicando su difficoltà media e limitando al massimo il materiale che abbiamo con noi (7 nuts, 2 chiodi, una mezza corda da 60m, 2 viti da ghiaccio). Nei giorni della salita il tempo cambia passiamo dalla stagione umida a quella secca e fredda, le temperature precipitano e per tutta la salita soffriremo il freddo alle mani ed ai piedi.
In questo viaggio ho capito che ogni tanto il fatto di andare in montagna è più una scusa per visitare luoghi remoti, lontano dai circuiti turistici e se si completa con qualche bella salita alpinistica è la ciliegina sulla torta.
Ovviamente quando si parte per lo sconosciuto è tutto più difficile, a partire dal materiale, che comunque per il viaggio meno è meglio è, a tutte le variabili logistiche. A ciò si aggiunge il continuo confronto con una cultura profondamente differente dalla nostra; sia da un punto di vista organizzativo che culturale che spesso porta le popolazioni locali a non comprendere i nostri obbiettivi.

Grazie ai mei compagni di spedizione per la bella esperienza.

E grazie a cousin-trestec per le bellissime corde forniteci

l'equipe a Litang
da sx: James, Tom, Rob, Peter e Luca

Lytang ph: Peter

monastero Rengo, risalente al 1100 D.C.

dipinti del monastero Rongo


niente cavallo o muli, moto!

Tenda cucina del campo base

Yak


Tentativo cresta Ovest Hutza



il sogno: parete sud del monte Hutza

arrampicata sul monte 5912

stanchi ma felici
arrampicata sul monte 5912

arrampicata sul monte 5912

arrampicata sul monte 5912

nei pressi della vetta, monte 5912
panorama, sullo sfonto di nota il monte Genyen


il monte 5912, siamo saliti per la traccia a destra e scesi a sinistra



domenica 24 luglio 2016

La roccia marcia e l’avventura

Leggendo l’ultimo resoconto apparso su planetmountain, Luca (mio fidato compagno di cordata) giustamente si chiede cosa mi spinga ad accettare tutte le sue proposte nelle zone meno comode delle Dolomiti, dove regna la roccia marcia.

L’ultima proposta in particolare: una prima ripetizione della parete nord del col nudo, via di cui gli apritori hanno dichiarato che la roccia è marcia. Ho accettato  senza alcuna esitazione, ben sapendo che avrei trovato 700metri di roccia marcia e un avvicinamento per cenge dove è meglio non scivolare!

Non sono un indigeno delle Dolomiti, ma essendo cresciuto alpinisticamente nelle Alpi centrali so cosa è la roccia bella, conosco bene la roccia perfetta della Val di Mello, del Rätikon, del Wendenstöcke, del Sasso Cavallo. Come emerge dal mio percorso alpinistico ho certato di vedere ogni montagna possibile, dalla nord del Dôme de neige alla nord del Triglav e devo dire che il tipo di roccia non è prioritario nelle mie scelte.

Il richiamo di una parete di 700metri è forte, la roccia marcia non è una cosa che mi dà troppo fastidio ma non la cerco nemmeno, ma la cosa che desidero è l’avventura. E quando qualcuno ti dice di andare su una parete per fare una via aperta nell’82 di cui non si sa quasi nulla, questa x me è l’avventura che cerco; poco importa se alla fine i tratti impegnativi si sono rilevati un misto di roccia marcia e terra; mi sono divertito!

la roccia non sanissima e la terra rendono l'arrampicata delicata
Ma per fortuna non sono l’unico a essere fuori dai canoni del plasir, l’estate scorsa con Luca stavamo parlando con una guida chamoniarda al rifugio Leschaux. La guida, scoprendo che luca è un indigeno delle dolomiti bellunesi, gli chiede informazioni per il burel (una delle pareti più alte delle dolomiti, pero molo poco conociuta) luca, sbigottito, gli dice che è un paretone di 1500m ma la roccia la è veramente pessima e l’avvicinamento è infestato dalle zecche, e lui risponde : non importa ma è una grande parete, la voglio assolutamente fare.

su certi tipi di roccie meglio avere un numero abbondate di chiodi lunghi





sulla nord del Dôme de neige, grande ambiente ma roccia non perfetta


martedì 7 giugno 2016

ski 15/16



Scendere è bello ma anche salire è bello, è un po’ questo il riassunto del mio inverno scorso.
Ho passato tutta la stagione invernale e inizio primavera principalmente sugli sci; ho trascurato un po’ il ghiaccio e il misto, anche se le condizioni quasi sempre non ottimali non mi hanno fatto  rimpiangere questa scelta.

L’attività che si puo fare con gli sci è veramente varia: dalla giornata di free ride dove il godimento per la neve è accentuato al massimo, alla giornata di puro scialpinismo dove lo sci è usato come mezzo di locomozione per le gioie di compiere una cima o una traversata.













Alaska 2016



Hunter, parete nord, via Moonflower; una grande classica dell’Alaska. Insieme alla Cassin, al Denali e ad Infinity spur al monte Foraker è una delle tre 3 classiche della zona.
Noppa (Norbert Joos) ed io decidiamo di fare una veloce spedizione che ha come obbiettivo la parete nord del monte Hunter.
Arrivati sul ghiacciaio la meteo è molto buona, super galvanizzati il giorno dopo facciamo un giro sotto la parete per fare un deposito di materiale.
Nella notte lasciamo il campo base per iniziare la nostra avventura, abbiamo cibo e gas per 4/5 giorni. L’idea è arrivare in vetta e scendere per la cresta ovest; giro molto lungo ed ambizioso
Il giorno prima abbiamo parlato con due giapponesi che hanno ripetuto la via fino alla spalla in 5 giorni, cinque giorni di brutto tempo e nevicate, 4 bivacchi senza tenda ed il loro commento era stato:“wet bivy, snow showers, too bad!”.
Noi abbiamo deciso di portarci la tenda, sapendo che almeno al primo bivacco c’è posto per metterla, lavorando un po’ per scavare la piazzola.
Partiamo per la Mugs Start, quest’anno la partenza originale non è percorribile per mancanza di ghiaccio.
I tiri si susseguono, non troppo facili ma non troppo impegnativi, il giusto compromesso per divertirsi dimenticandosi di avere 1500 metri sopra la testa. Arriviamo al famoso tiro “The Prow”, qui le cose cambiano, la parete si verticalizza e le difficoltà aumentano, il tiro in libera è M7, ma non mi lascio sfuggire il piacere di fare un po’ di A0.
Il tiro successivo comincia con un pendolo e porta nella goulotte. Dopo di che segue il Tamara Travers, un traverso di 50 metri su ghiaccio e misto, l’arrampicata in traverso con le piccozze è quanto ci sia di più noioso: pianta la piccozza, fai il cambio mano, pianta l’altra piccozza, ecc.…
Raggiungiamo il primo nevaio (ice band) e qui creiamo la piazzola per la tenda. La decisione della tenda si rivela azzeccata perché nella notte cadono 30cm di neve e la tenda è quasi sepolta il giorno seguente.
La mattina il tempo è ancora decisamente brutto e soprattutto caldo! La neve è bagnata, il ghiaccio è bagnato, temiamo per qualche crollo dei funghi di neve che sono presenti sulla via.
Proviamo comunque a partire, le condizioni non sono facili. La nuova neve umida si è attaccata ovunque e rende difficile la progressione.
Le temperature sono alte e non smette di nevicare, Noppa è sempre meno convinto ma io decido comunque di salire ancora una lunghezza di corda, questa lunghezza si rivela particolarmente ostica (a posteriori saprò che quest’anno è la lunghezza più dura dell’intera via) e mi porta alla base di The Schaft, 3 tiri di ghiaccio verticali con pezzi strapiombanti.
Qui, anch'io mi rendo conto che le condizioni sono un po’ limite e cedo alle pressioni di Noppa per scendere.


Una infinità di doppie ci portano a terra, e qui viviamo un’atmosfera irreale. Nebbie e caldo, siamo completamente fradici, le nebbie che sono presenti dalla mattina rendono costante la luce durante tutta la giornata e sommato al fatto che il mio orologio è rotto, non so più se è mattina o pomeriggio o notte (in Alaska la notte non esiste perché siamo vicino al circolo polare artico).
Rientriamo al campo base dove passiamo qualche giorno di risposo, pronti a cogliere la prima finestra di bel tempo che non arriverà mai prima del nostro rientro.


investiti da una piccola slavina di polvere ai piedi della parete
Mugs Start

Mugs Start
McNerthney Ice Dagger

McNerthney Ice Dagger


The Prow


Tamara's Traverse

first ice band

bivy



scendendo in corda doppia
base campe life

tee time con i vicini di tenda tasmani

io e noppa con il fortissimo team giapponese