sabato 5 settembre 2015

Una umida estate di alta pressione


Estate 2015. Penso che questa estate rimarrà negli annali per il bel tempo, anche se queste condizioni meteo non hanno impedito di prendermi fra le più grandi e durature inzuppate della mia vita.
Torno a casa nelle alpi centrali a fine giugno, dopo 3 mesi senza montagna, super motivato a fare qualche bella vietta e mettere a frutto 3 mesi di falesie serali.
La prima via della stagione è El Diablo, con Paolo; i tre mesi senza montagna si fanno sentire, che fatica arrivare al rifugio Alievi!! La via è proprio bella, dopo il primo tiro di riscaldamento, dove è vivamente consigliato non cadere, la via segue su delle bellissime placche.



Seconda via della stagione: Eiger! Non la classica della parete nord, ma la classicissima Chant du Cygne, che Luca G. mi propone e che percorre i 900 metri dello sperone nord. La via è interamente attrezzata a spit, ma con le 22 lunghezze di corda non può essere certo definita una via plasir. La via è molto bella, ma il fatto che tutti i tiri più impegnativi siano concentrati alla fine, fa si che esco dalla via con le braccia in preda ai crampi!




L’alta pressione dura ed è quindi tempo di andare in zona Monte Bianco! Con gli “iron men” Luca G. e Claudio M. andiamo a fare la via Gabarrou al Pilastro Rosso del Boruillard . La composizione della cordata mi fa temere più l’avvicinamento che la via in sé, visto che gli iron man sono famosi per la loro velocità! Partiamo dal rifugio Monzino a notte fonda e con le prime luci siamo all’attacco del pilastro, la via è di ottima qualità e complimenti a Claudio che la percorre tutta in libera a vista!




Con Luca V. si decide che è il tempo di fare una via un po’ “ingaggiante” ed essendo Luca a Chamonix dove ha appena finito il modulo di alta montagna del corso guide, penso a qualcosa in zona. Tiro fuori dal cassetto dei sogni la relazione di Manitua, sulla parete delle Grandes Jorasses. Sono anni che sto aspettando un’estate secca, condizione ideale per questa via; incoraggiati dal fatto che la settimana prima Korra Pesce e compagno hanno fatto la prima ripetizione in giornata di questa via decidiamo di affrontarla!
Partiamo carichi e belli convinti, il passaggio della terminale e relativo pendio regalano sempre emozioni forti quando si è scelto di ridurre al massimo il materiale da ghiaccio per via del peso. La via percorre la prima parte della sperone Croz per poi affrontare direttamente uno scudo ultra verticale di 350m in piena parete nord delle Grandes Jorasses. La via è stata aperta in solitaria nel 1992 dal leggendario alpinista sloveno Slavko Sveticic. Arriviamo a metà mattinata sotto lo scudo, la via corre lungo un evidente diedro, l’arrampicata è atletica di fessura/diedro, la roccia molto solida, l’ambiente è quello delle Grand Jorasses; il massimo!! La progressione non è veloce perché bisogna issare i sacchi e la quota un po’ si fa sentire, di solito su questa parete si arrampica sempre con piccozze e ramponi ed è esaltante arrampicare nello stesso posto con magnesio e scarpette. A metà parete c’è una cengia: da qui le cose cambiano, la neve, del nevaio che c’è dopo lo scudo, si sta fondendo creando letteralmente una cascata! Arrampicare vuol dire farsi la doccia, bisogna stringere i denti. In alcuni punti non riusciamo neanche a guardare in alto tanto sono forti gli schizzi d’acqua. Gli ultimi 4 tiri sono una vera lotta. Alle ultime luci della giornata usciamo dalla sezione verticale congiungendoci alla via classica dello sperone Croz, troviamo un comodo posto da bivacco in un grottino. Siamo completamente fradici, anche i sacchi a pelo dentro gli zaini si sono bagnati. La notte è lunga e al risveglio il tempo è completamente cambiato, in contrasto con quanto detto dalle previsioni, neve, nubi basse e vento molto forte. Per la vetta dovremo percorrere l’ultima parte della via classica dello sperone Croz, sappiamo di avere le difficoltà alle spalle ma la meteo e le condizioni della parete sono pessime. Nove ore di doppie ci porteranno al ghiacciaio sottostante, altre 4 ore di camminata sotto un diluvio ci portano al trenino di Montenvers.




Sappiamo di non aver compiuto l’ascensione della via ma siamo comunque soddisfatti di aver percorso lo scudo di Manitua e di essere riusciti a scendere in condizioni metereologiche avverse! Un ricordo che ci accompagnerà per la vita è sicuramente il bivacco annacquato!
Dopo la pioggia al Monte Bianco opto per una via in Dolomiti con Paolo P. L’anno scorso Bau, Beber e Banal hanno aperto una nuova via sulla parete est della Brenta alta, la linea è molto bella e mi invoglia l’andare a vedere di cosa si tratta. La via presenta due tiri impegnativi molto verticali e il resto verte su difficoltà più classiche. La via è veramente stupenda e come prima via in Dolomiti della stagione non potevo chiedere di meglio, anche se mi ha dato filo da torcere.




Sempre in Dolomiti, Luca V. mi chiede di accompagnarlo per raddrizzare una via, ancora senza nome, che ha aperto poco tempo prima. Anche qua la pioggia ci accompagna, lungo la salita al rifugio Vazzoler si scatena un bel temporale; cosi dobbiamo rinunciare alla bivacco che avevamo previsto in parete e dobbiamo “accontentarci” di dormire al rifugio. L’indomani attacchiamo la parete di buon ora, percorriamo il lunghissimo zoccolo e percorriamo i primi tiri della via, arrivati al traverso iniziano i giochi. Luca riesce a superare un tetto mettendo dei chiodi poco rassicuranti; il tiro successivo attacco io, una prima sezione di artificiale su chiodi che non entrano più di 1 cm mi impegna, un successivo tratto in libera mi porta dentro un diedro completamente svaso, praticamente inchiodabile. Riesco a mettere un paio di pseudo chiodi, capisco che continuare diventa sempre più complesso e che non riuscirei a fare la sosta, dopo 1:30 sul tiro decido di scendere; chiedo a Luca se vuole darmi il cambio ma la sua risposta è: “se non passi tu non passo neanche io”, la cosa mi rifranca. Decido di provare un’ultima volta, riesco a mettere un ottimo cliff in un buco, provo a chiodare ma non c’è verso. Provo il passo successivo in libera ma è molto aleatorio, nessuna presa per le mani e piedi in aderenza, con il rischio concreto in caso di volo, di un volo di almeno 20/30metri sulla sosta; tutte le protezioni che ho messo fino ad ora sono tutte pessime, forse solo un chiodo buono 2 metri sopra la sosta terrebbe. Dopo 2.30 ore di tentativi mi arrendo, ridiscendo in sosta.




Ormai Luca ed io iniziamo a farci l’abitudine a fare ritirate da pareti di mille metri, chiodi e kevlar vanno via come il pane. Un unico imprevisto ci abbatte definitivamente il morale, una corda si incastra. Devo risalire 50 metri di corda nel vuoto, e durante la risalita inizia anche a piovere!
Ritornato nelle Alpi centrali, faccio una bella scappata sulla via Dalai Lama al Pizzo Cengalo con Luca G., i programmi erano altri ma anche qua un’imprevista notte di pioggia scombussola i nostri programmi.


Torno in Dolomiti, questa volta in compagnia della mia “guida” preferita Noppa. Percorriamo velocemente la Gogna e il giorno seguente scegliamo di attaccare la via Olimpo. Con Noppa l’atmosfera è sempre allegra, e pensando che gli mancano 10 dita dei piedi non posso che inchinarmi alla sua maestria nell’arrampicare!







L’estate si conclude con una veloce Cassin al Pizzo Badile!!


L’estate è stata di soddisfazione anche se, come sempre, avrei voluto fare di più. Adesso la testa guarda già al ghiaccio e al misto invernale!